![]() Tratto da “La Bambina-Fiore” di Rossella Calabrò e Elena Malagoli, ed. Emma Book #scritturaautobiografica #disabilità #caregiver #counseling "C'era una volta una bambina che non assomigliava per niente a una figlia. Aveva una mamma, ma questo non bastava. Aveva ciglia così lunghe che sembravano petali, ma non bastava nemmeno questo. Aveva la pelle morbida e profumata come solo le fate bambine possiedono, aveva un papà, dei nonni, un orso di peluche, persino un cane vero, ma non erano sufficienti per renderla simile a una figlia. Il fatto è che quella bambina, più che a una figlia, assomigliava a un geranio. Dei gerani aveva la lentezza (le piante si muovono, non sono mica immobili come pensiamo noi, solo che lo fanno con dei tempi diversi dai nostri, per questo non ce ne accorgiamo). Dei gerani aveva la sete di cure, il bisogno di sole, la forza delle radici. Dei gerani aveva anche la delicatezza, e la vita di poche stagioni. E, soprattutto, aveva lo stesso linguaggio. La bambina-geranio aveva scelto, per esprimersi, non l'italiano, non l'inglese e nemmeno il dialetto milanese, bensì il geraniese. Quando una carezza le si posava sulla pelle come un raggio di sole, la bambina diceva "Grazie" nella sua lingua, facendo scorrere più velocemente il sangue nelle vene, come la linfa nelle venature delle foglie. Quando voleva dire "Sono triste", la bambina copiava dai gerani: appassiva un pochino, facendosi piccola e fragile e scrocchiante come una foglia secca. E se era arrabbiata? Si irrigidiva tutta, come fanno i gerani d'inverno, quando il gelo si insinua nei loro rami. Era il suo modo per dire "fanculo", ma siccome in geraniese fanculo si dice ramigelati, lei diceva ramigelati. Un giorno sentì per caso la sua mamma dire che non aveva una figlia. "Ramigelati!" parolacciò la bambina tra sé "E io chi sono allora?" Le rispose la terra. Un mucchietto di terra tiepida che profumava di sole, di radici, di risotto coi funghi. Le disse: "Bambina, se non ho capito male, tu vuoi assomigliare in tutto e per tutto a una figlia, giusto?" "Giustissimo", rispose la piccola. "E allora devi fare una cosa" "Cosa?" "Una cosa molto, molto difficile." "Ramigelati!" disse la bambina che, di difficoltà, ne aveva già affrontate fin troppe. "Non dire parolacce, Bambina, e ascoltami. La cosa molto, molto difficile che devi fare è aspettare". "Aspettare? Ma aspettare non è fare!" protestò la piccola. "E oltretutto ci si annoia un sacco". "Aspettare è l'atto magico più potente di tutti. Anzi, per la precisione si tratta di aspettare costruendo. Hai presente quando ai tuoi fratelli gerani spunta un bocciolo? Tu poi andare lì a vederlo ventimila volte al giorno, scuoterlo, pregarlo, minacciarlo, puoi fare qualunque cosa, ma l'unica giusta è aspettare. Quando avrai aspettato insieme a lui il tempo necessario, il bocciolo si trasformerà in un bellissimo fiore." "Quindi se io aspetto, poi assomiglio in tutto e per tutto a una figlia?" "Sì. Promesso". "Uao, petaloso!" disse la bambina. "Ennò, se dici petaloso ti annullo la magia" commentò, schifata, la terra. E allora, mamma, io dopo quella fiaba ho aspettato, e aspettato, e aspettato. Finché un giorno ho sentito fortissimo dentro il mio pancino che, anche se ero un po' piuma un po' pasticcio e un po' geranio, ero diventata tua figlia per davvero. È stato il giorno più bello della mia vita."
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