![]() In un anno così difficile la nostra attività principale è stata quella di cercare di comprendere queste complessità inedite e di formarci, progettare e sperimentare soluzioni innovative per il "durante" e il "dopo". Le principali aree tematiche su cui abbiamolavorato, sono: - Persone anziane e Caregiver: collaborazioni con RSA, Caregiver familiari di anziani, modello abitativo innovativo perover 65. - Benessere e Sviluppo personale: progetto VIVOMINDFUL Vuoi saperne di più? Clicca qui per la Relazione completa
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Come tutte le Feste, benché nate a scopi commerciali, anche la Festa della Mamma diventa per tante madri caregiver un momento di riflessioni, pensieri, gioia, malinconia.
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Ad Agosto, quando quasi tutto chiude, apre il nostro @FeliCityLab, il gruppo chiuso Facebook dove in passato abbiamo offerto ad alcuni Caregiver i laboratori di sviluppo personale “Come Chiedere aiuto” e “Elogio della Fragilità”; ora Associazione FeliCity offre gratuitamente il percorso di sviluppo personale “FeliCity Summer”, a trentacinque membri del nostro gruppo @FeliCityCaregiver, che hanno chiesto di iscriversi. Nel Lab svilupperemo insieme quattro argomenti, collegati e integrati, che hanno come focus e comun denominatore il tema dell'Estate e dei Caregiver: 1. Facciamo le Valigie: le nostre diversamente-vacanze 2. L’Illogica Allegria di Giorgio Gaber: come godersi l’attimo 3. Parliamo di coppia. 4. A Settembre tornerai: prepariamoci al rientro. Conduce e modera Elena Malagoli: Filosofa, Counselor ad indirizzo sistemico - specializzata in conduzione di Gruppi, scrittrice, vicepresidente di Associazione culturale FeliCity, madre caregiver. Venerdì 2 agosto alla ore 20.30 la prima diretta-facebook nel Lab: faremo le Valigie! Valigie metaforiche, dove ci può stare tanto, ma non tutto! ;-) Si parte quindi, buone vacanze a Tutti! |

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Mercoledì 17 luglio, dalle ore 20.30, abbiamo organizzato un webinar nella nostra aula virtuale, per approfondire le novità e gli scopi della nuova misura B1 di Regione Lombardia, costituita da buono e voucher in favore di persone con disabilità gravissima assistite a domicilio.
Nel nostro gruppo chiuso di mutuo-aiuto FeliCity Caregiver, molti caregiver lombardi hanno espresso il desiderio di avere maggiori informazioni e chiarimenti su questa misura, che dallo scorso mese di febbraio ha subito molti cambiamenti rispetto agli anni precedenti.
LA SERATA E’ RISERVATA AI SOLI CAREGIVER FAMILIARI ed è GRATUITA
Per informazioni e iscrizioni: info.associazionefelicity@gmail.com
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Se curi un familiare non autosufficiente non restare solo in estate, unisciti a noi:
relazioni, crescita personale, arte, tutto comodamente on line.
L’estate per i caregiver familiari è spesso un momento difficile. I servizi vengono sospesi e mentre tutti si godono il meritato riposo per i caregiver aumenta il carico di assistenza al familiare con disabilità, aumenta la fatica e spesso anche la solitudine. Per questo abbiamo organizzato
FeliCity Summer, per essere a fianco dei caregiver in un periodo così delicato.
Ecco il programma delle nostre iniziative, che si svolgeranno on line, basta un pc con microfono e telecamera incorporati per accedere alla nostra aula virtuale dove potremo vederci e parlarci come dal vivo, o nel nostro gruppo chiuso Facebook .
Ciclo di incontri a tema, moderati da professionisti della relazione di aiuto
4 incontri, 2 lunedì al mese, ore 20.00 -21.30, dal 15 luglio al 26 agosto
1) 15 luglio : "Le nostre diversamente-vacanze”
2) 29 luglio: "L’illogica Allegria, di Giorgio Gaber: come godersi l’attimo”
3) 12 agosto: “Agosto, moglie mia non ti conosco: parliamo di coppia”
4) 26 agosto: "A settembre tornerai: prepariamoci al rientro”.
Per gruppi di massimo 20 persone, in aula virtuale, gratuito per i soci (possono essere organizzati più gruppi, in altre date)
Laboratorio di scrittura autobiografica – Il Viaggio dell’Eroe
4 moduli, 2 mercoledì al mese, ore 20.00-21.30, dal 17 luglio al 28 agosto
La riflessività intima e il piacere della scrittura, unita alla potenza dell’archetipo e alla profondità dell’esplorazione di counseling, ci permetterà di narrare una storia nuova: il nostro personale e unico “Viaggio dell’Eroe”.
Adatto a tutti, non occorrono particolari abilità.
Per gruppi di massimo 10 persone, in aula virtuale, per dettagli, date, tariffe clicca qui
Il nuovo numero del nostro FeliCity Magazine
Esce a metà luglio con interviste, approfondimenti, news sul mondo della cura e della cultura.
Alcuni articoli verranno approfonditi con i Caregiver nel nostro gruppo chiuso Facebook @Felicity Caregiver.
Gratuito, per tutti, scaricabile dal nostro sito (clicca qui )
Il gruppo di mutuo aiuto NON chiude per ferie
Unisciti a noi, nel nostro gruppo per caregiver familiari, è un gruppo chiuso e quotidianamente moderato, un salotto dove ci sosteniamo, ci informiamo, cerchiamo insieme soluzioni.
Gratuito, per tutti caregiver, con iscrizione al gruppo chiuso Facebook @Felicity Caregiver.
Per informazioni sulle iniziative del FeliCity Summer:
www.associazionefelicity.com - info.associazionefelicity@gmail.com
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2) 29 luglio: "L’illogica Allegria, di Giorgio Gaber: come godersi l’attimo”
3) 12 agosto: “Agosto, moglie mia non ti conosco: parliamo di coppia”
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Sei un Caregiver Familiare? Ti prendi cura di un parente non autosufficiente?
Noi ti aiutiamo a prenderti cura anche di te stesso.
Il gruppo di auto-mutuo-aiuto, i laboratori di sviluppo personale in aula virtuale, il servizio di orientamento burocratico-legislativo, la rivista FeliCity Magazine, sono gli strumenti e i servizi con cui siamo a fianco dei Caregiver.
Vieni a conoscerci, siamo Caregiver come te!
PROGRAMMA
10:00 Accoglienza
10:15 Presentazione dell'Associazione e del Progetto FeliCity Caregiver
10:30 Il Gruppo di auto-mutuo-aiuto e i Laboratori di sviluppo personale per Caregiver
11:00 La Rivista FeliCity Magazine
11:15 Il servizio di orientamento burocratico-legislativo per Caregiver
11:30 Coffee break
11:50 Domande e interventi
12:15 Conclusioni
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12:15 Conclusioni

Ieri mi stavo confrontando con una persona su come agevolare l’inclusione e il rispetto per i nostri figli con disabilità, questa persona parlava di campagne di sensibilizzazione, di lotte e strategie “socio-educative” varie; io, pur riconoscendo l’importanza di quello che mi stava dicendo, pensavo invece al potere dirompente dei piccoli gesti, dei piccoli segnali: quando ci portiamo in giro con orgoglio i nostri figli, nonostante gli sguardi che riceviamo, quando rispondiamo con dignità a quegli sguardi facendo una carezza o dando un bacio ai nostri ragazzi, come a dire “per me questa creatura è preziosa e importante”, quando curiamo il loro abbigliamento e il loro aspetto per valorizzare la loro bellezza speciale, quando – in una parola - dimostriamo CURA, e averne cura significa che sono amati e che li consideriamo preziosi.
Portarli nel “mondo”, in mezzo agli altri, con un bel vestitino, facendo loro una carezza, un sorriso, è un grido potente, stiamo urlando: “Mondo, questo figlio mio lo curo e lo amo, perché è prezioso, lo difenderò sempre, te la dovrai vedere con me se tenterai di emarginarlo”.
Abbiamo tanti modi per condurre le nostre battaglie e uno di questi, forse fra i più potenti, è mettere cura, perché cura è sinonimo di amore e di valore. Perché, come ha detto un padre del nostro gruppo @FeliCity Caregiver: “C'è il momento della rivendicazione e nessuno lo nega, ma non dimenticate mai che l'amore si vede di più”
(Elena Malagoli)
Portarli nel “mondo”, in mezzo agli altri, con un bel vestitino, facendo loro una carezza, un sorriso, è un grido potente, stiamo urlando: “Mondo, questo figlio mio lo curo e lo amo, perché è prezioso, lo difenderò sempre, te la dovrai vedere con me se tenterai di emarginarlo”.
Abbiamo tanti modi per condurre le nostre battaglie e uno di questi, forse fra i più potenti, è mettere cura, perché cura è sinonimo di amore e di valore. Perché, come ha detto un padre del nostro gruppo @FeliCity Caregiver: “C'è il momento della rivendicazione e nessuno lo nega, ma non dimenticate mai che l'amore si vede di più”
(Elena Malagoli)

“(…) Ora io, di astrofisica, ma anche di matematica, non capisco nulla e ricordo a malapena come si estrae una radice quadrata, anzi non lo ricordo proprio e a dirla tutta ho difficoltà a fare una divisione a tre cifre con la virgola. Questo per dire il livello dal quale faccio scendere queste considerazioni.
Nondimeno ho, come milioni di altri, vicinanza con la frequentazione di questo eccelso e brillante scienziato (ndr: Stephen Hawking). Vicinanza non certo dettata dalla comprensione dei suoi studi, quanto piuttosto dalla combinazione, come detto, dalla sua disabilità "estrema" e la sua intelligenza libera e brillante. Si sapeva che il suo QI era tra i più alti del pianeta (per quanto possa valere questa valutazione) che era stato colpito dalla malattia a vent'anni, ma a quella età aveva già dato prova di essere un superuomo, se mi passate il termine. Quindi Hawking non poteva, a mio parere, essere descritto, come ho sentito spesso in questi giorni, un disabile scienziato, quanto piuttosto, uno scienziato diventato a causa della sua malattia, disabile.
Ma la figura del disabile di talento ha molta fortuna nelle narrazioni, al cinema, soprattutto. Andando a memoria, possiamo tutti citare almeno tre film dove i disabili sono sì raccontati, ma lo sono sempre recuperando una genialità insospettata che risarcisce il disabile e ne impedisce l'abbandono da parte della società. Penso a " Rain Man " o a " Figli di un Dio minore " ma anche l'italiano " Le chiavi di casa "
Il racconto della disabilità, la sua percezione e la sua conoscenza, sono rimossi sociali, con i quali si scontrano più che dialogare, soprattutto chi ci lavora e chi la vive, per vicinanza o per condizione.
Fuori dai denti, il disabile geniale, non confligge con la società, anzi ne esalta le risposte, giustifica le spese e gli investimenti e induce, diciamo, una specie di pace sociale tra gli inclusi e gli esclusi.
Il racconto della disabilità sui media si nutre di genialità essendo incapace di avvicinarsi alla normalità, non avendo nessuna cognizione dei bisogni e delle aspettative sia dei disabili sia di chi vive con loro.
Fosse diverso, troveremmo i marciapiedi sgombri e realizzati a misura di passeggino, di sedia a rotelle o scavalcabili con stampelle. Fosse così, troveremmo i parcheggi riservati sempre liberi e nessuno farebbe la faccia storta quando chiedi di superare la fila, perché quella è una cassa dedicata a donne incinte o disabili a vario titolo. Non registreremmo infine l'insofferenza quando fai notare che su quel posto ci devi parcheggiare tu e non lui che ha la mobilità non impedita e può ben affrontare i dieci metri che lo separano dall'ingresso del supermercato!
Fosse diverso, non avremmo, ancora nel 2018 edifici pubblici delegati all'accoglienza dei disabili, privi di accessi agevolati e senza che siano abbattute le barriere architettoniche
Fosse diverso, avremmo una legislazione in linea con le linee guida dell'ONU e della UE invece di ascoltare vaniloqui su leggi che allo stato attuale non garantiscono che il futuro dei nostri figli non sia il chiuso di un istituto e negando fattivamente la fatica e l'impegno dei genitori che si dedicano, non essendo possibile altrimenti, le giornate, le settimane, i mesi e gli anni alla cura e accudimento dei loro figli e senza nessun risarcimento, fosse anche una pensionabilità anticipata.
La maggior parte dei disabili, non conosco le cifre ma non esagero dicendo che sono più del 90% la maggior parte dicevo, non ha nessuna abilità, figuriamoci la genialità. La maggior parte deve essere accudita e nutrita e accompagnata in ogni funzione corporale. La genialità dei nostri figli si manifesta con un sorriso che ci fa capire che gradiscono, con un gridolino di felicità e con lo scambio di sguardi riconoscenti.
Non c'è nessuna genialità, anzi no, di genialità ce n'è a pacchi ed è tutta quella che occorre loro per dire (poco ) fare ( pochissimo) baciare ( molto )
L'ammirazione, da parte mia sconfinata, per Stephen Hawking si assomma a una figura della mia giovinezza e che chi ha la mia età forse ricorda. La mostravano spesso, intervistata, chiusa nella gabbia di acciaio che le permetteva la vita e pur in quella condizione Rosanna Benzi cantava la sua voglia di vita, così come Stephen neanche lei si guardava le scarpe, anche lei guardava le stelle.
Come facciamo noi, tale e quale.”
(di Raffale Moccia, chiacchierando una sera nel nostro gruppo @felicity caregiver)
Nondimeno ho, come milioni di altri, vicinanza con la frequentazione di questo eccelso e brillante scienziato (ndr: Stephen Hawking). Vicinanza non certo dettata dalla comprensione dei suoi studi, quanto piuttosto dalla combinazione, come detto, dalla sua disabilità "estrema" e la sua intelligenza libera e brillante. Si sapeva che il suo QI era tra i più alti del pianeta (per quanto possa valere questa valutazione) che era stato colpito dalla malattia a vent'anni, ma a quella età aveva già dato prova di essere un superuomo, se mi passate il termine. Quindi Hawking non poteva, a mio parere, essere descritto, come ho sentito spesso in questi giorni, un disabile scienziato, quanto piuttosto, uno scienziato diventato a causa della sua malattia, disabile.
Ma la figura del disabile di talento ha molta fortuna nelle narrazioni, al cinema, soprattutto. Andando a memoria, possiamo tutti citare almeno tre film dove i disabili sono sì raccontati, ma lo sono sempre recuperando una genialità insospettata che risarcisce il disabile e ne impedisce l'abbandono da parte della società. Penso a " Rain Man " o a " Figli di un Dio minore " ma anche l'italiano " Le chiavi di casa "
Il racconto della disabilità, la sua percezione e la sua conoscenza, sono rimossi sociali, con i quali si scontrano più che dialogare, soprattutto chi ci lavora e chi la vive, per vicinanza o per condizione.
Fuori dai denti, il disabile geniale, non confligge con la società, anzi ne esalta le risposte, giustifica le spese e gli investimenti e induce, diciamo, una specie di pace sociale tra gli inclusi e gli esclusi.
Il racconto della disabilità sui media si nutre di genialità essendo incapace di avvicinarsi alla normalità, non avendo nessuna cognizione dei bisogni e delle aspettative sia dei disabili sia di chi vive con loro.
Fosse diverso, troveremmo i marciapiedi sgombri e realizzati a misura di passeggino, di sedia a rotelle o scavalcabili con stampelle. Fosse così, troveremmo i parcheggi riservati sempre liberi e nessuno farebbe la faccia storta quando chiedi di superare la fila, perché quella è una cassa dedicata a donne incinte o disabili a vario titolo. Non registreremmo infine l'insofferenza quando fai notare che su quel posto ci devi parcheggiare tu e non lui che ha la mobilità non impedita e può ben affrontare i dieci metri che lo separano dall'ingresso del supermercato!
Fosse diverso, non avremmo, ancora nel 2018 edifici pubblici delegati all'accoglienza dei disabili, privi di accessi agevolati e senza che siano abbattute le barriere architettoniche
Fosse diverso, avremmo una legislazione in linea con le linee guida dell'ONU e della UE invece di ascoltare vaniloqui su leggi che allo stato attuale non garantiscono che il futuro dei nostri figli non sia il chiuso di un istituto e negando fattivamente la fatica e l'impegno dei genitori che si dedicano, non essendo possibile altrimenti, le giornate, le settimane, i mesi e gli anni alla cura e accudimento dei loro figli e senza nessun risarcimento, fosse anche una pensionabilità anticipata.
La maggior parte dei disabili, non conosco le cifre ma non esagero dicendo che sono più del 90% la maggior parte dicevo, non ha nessuna abilità, figuriamoci la genialità. La maggior parte deve essere accudita e nutrita e accompagnata in ogni funzione corporale. La genialità dei nostri figli si manifesta con un sorriso che ci fa capire che gradiscono, con un gridolino di felicità e con lo scambio di sguardi riconoscenti.
Non c'è nessuna genialità, anzi no, di genialità ce n'è a pacchi ed è tutta quella che occorre loro per dire (poco ) fare ( pochissimo) baciare ( molto )
L'ammirazione, da parte mia sconfinata, per Stephen Hawking si assomma a una figura della mia giovinezza e che chi ha la mia età forse ricorda. La mostravano spesso, intervistata, chiusa nella gabbia di acciaio che le permetteva la vita e pur in quella condizione Rosanna Benzi cantava la sua voglia di vita, così come Stephen neanche lei si guardava le scarpe, anche lei guardava le stelle.
Come facciamo noi, tale e quale.”
(di Raffale Moccia, chiacchierando una sera nel nostro gruppo @felicity caregiver)

In questi giorni le nuove modalità di erogazione della Misura B1, cioè buoni e voucher che Regione Lombardia eroga per le persone con disabilità gravissima, stanno comprensibilmente preoccupando i Caregiver familiari, perché per alcune casistiche sembrano essere penalizzanti rispetto al 2018; anche nel nostro gruppo di auto-mutuo-aiuto FeliCity Caregiver l'argomento è molto sentito e dibattuto da settimane. Segnaliamo volentieri questo articolo di Giovanni Merlo di Ledha risalente allo scorso ottobre ma oggi attualissimo, che evidenzia dei punti secondo noi FONDAMENTALI. Non si tratta di preferire denaro rispetto a servizi professionali, né di riesumare la questione "assistenza indiretta vs. assistenza diretta" che dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) essere morta e sepolta, ma di attivare una VERA Valutazione Multidimensionale, con un VERO Piano Individuale socio-assistenziale per la persona con disabilità, con le sue personali esigenze, nel suo personale contesto di vita. Una sfida importante e impegnativa per i Servizi, in cui gli operatori dovranno cimentarsi proprio in queste settimane con le nuove valutazioni per l'erogazione della B1. Il nostro consiglio alle famiglie è di considerare che la differenza non la fanno qualche cento-euro in più o in meno (che pur fanno comodo in situazioni di potenziale fragilità sociale, è ovvio, ma gli strumenti di sostegno dovrebbero essere altri), ma la coerenza e l'efficacia del Piano Individuale, sui cui dobbiamo pungolare i Servizi perchè siano in grado di elaborarlo realmente, non come mero atto amministrativo-erogatorio, ma fornendo risposte davvero efficaci e coerenti alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Teniamoci in contatto per confrontarci sulla qualità ed efficacia delle Valutazioni e dei Piani Individuali che verranno effettuati nelle prossime settimane: vincere questa sfida sarà possibile?

Caregiver familiari e deprivazione di sonno: ne stiamo parlando nel nostro gruppo FB di auto-mutuo-aiuto @FeliCity Caregiver.
Chiunque sia un caregiver conosce la gravità di questo problema: per assistere il familiare con disabilità non si dorme per anni, a volte per una vita intera.
Gli effetti della deprivazione cronica di sonno sono devastanti per la salute, ma vogliamo evidenziare un altro aspetto, che è purtroppo spesso sottovalutato.
Le madri del nostro gruppo stanno raccontando di quella sensazione di spaesamento, difficoltà a concentrarsi e mancanza di lucidità che le porta ad essere mentalmente poco presenti e poco produttive sul lavoro, in alcuni casi a doversi assentare, o a rischiare addirittura incidenti in macchina nel tragitto casa/lavoro, e chi è un caregiver come noi sa quanto tutto ciò sia vero e altamente probabile.
Alcune madri ci stanno raccontando di come, per queste ragioni, hanno dovuto addirittura lasciare il lavoro!
E noi crediamo che ogni volta che una donna caregiver lascia il lavoro, per dedicarsi esclusivamente all’attività di assistenza, tutta la società perde qualcosa, sia perché sono competenze - a volte anche elevate - che non potranno più rimanere in ambito professionale e produttivo, sia perché in questo modo la famiglia diventa più fragile economicamente e a rischio di povertà e isolamento sociale.
I genitori caregiver si sentono spesso raccomandare di “dormire meglio”, ma cosa può fare una madre quando il figlio urla per i dolori tutta la notte, quando deve movimentarlo ogni ora per evitargli piaghe e crampi, quando deve controllare le crisi epilettiche o la saturazione, cosa può fare se non stare sveglia e assisterlo?
E’ necessaria una presa di consapevolezza di questo fenomeno diffusissimo, pressochè universale in tutte le famiglie caregiver, da parte delle Istituzioni e degli enti socio- assistenziali: servirebbe fornire maggior assistenza notturna (che è praticamente inesistente), perlomeno nelle fasi di acutizzazione della malattia dell’assistito; una maggior consapevolezza del problema da parte dei medici della persona disabile, per monitorare meglio l’andamento notturno delle patologie e del dolore, con relativi interventi farmacologici; maggior attenzione all’igiene del sonno, con prescrizioni di letti/materassi e presidi che possano favorire il riposo della persona disabile, ma soprattutto smettere di chiedere ai familiari di svolgere una sorveglianza h24 che rischia seriamente di portarli alla malattia o persino alla morte, addirittura colpevolizzandoli se non riescono a svolgerla adeguatamente.
Sul versante del lavoro potrebbe essere una soluzione facilitante l’introduzione dello smart working e telelavoro, da riconoscere obbligatoriamente ai caregiver familiari, soluzione prevista da un DDL attualmente in discussione in Commissione in Senato, per arrivare (si spera celermente, dopo decenni di attesa) ad una legge per il riconoscimento e la tutela dei caregiver familiari.
Questi sono ovviamente solo spunti di riflessione, che non proponiamo certamente come soluzioni, ma il punto di partenza imprescindibile è prendere consapevolezza di questo ENORME e GRAVISSIMO problema, che danneggia la salute del caregiver, la stabilità economica e relazionale della famiglia, oltre a mettere a rischio l’assistito, perché ovviamente una caregiver esausto e quasi delirante di sonno NON può essere nelle condizioni ottimali per prestare adeguata assistenza.
Chiunque sia un caregiver conosce la gravità di questo problema: per assistere il familiare con disabilità non si dorme per anni, a volte per una vita intera.
Gli effetti della deprivazione cronica di sonno sono devastanti per la salute, ma vogliamo evidenziare un altro aspetto, che è purtroppo spesso sottovalutato.
Le madri del nostro gruppo stanno raccontando di quella sensazione di spaesamento, difficoltà a concentrarsi e mancanza di lucidità che le porta ad essere mentalmente poco presenti e poco produttive sul lavoro, in alcuni casi a doversi assentare, o a rischiare addirittura incidenti in macchina nel tragitto casa/lavoro, e chi è un caregiver come noi sa quanto tutto ciò sia vero e altamente probabile.
Alcune madri ci stanno raccontando di come, per queste ragioni, hanno dovuto addirittura lasciare il lavoro!
E noi crediamo che ogni volta che una donna caregiver lascia il lavoro, per dedicarsi esclusivamente all’attività di assistenza, tutta la società perde qualcosa, sia perché sono competenze - a volte anche elevate - che non potranno più rimanere in ambito professionale e produttivo, sia perché in questo modo la famiglia diventa più fragile economicamente e a rischio di povertà e isolamento sociale.
I genitori caregiver si sentono spesso raccomandare di “dormire meglio”, ma cosa può fare una madre quando il figlio urla per i dolori tutta la notte, quando deve movimentarlo ogni ora per evitargli piaghe e crampi, quando deve controllare le crisi epilettiche o la saturazione, cosa può fare se non stare sveglia e assisterlo?
E’ necessaria una presa di consapevolezza di questo fenomeno diffusissimo, pressochè universale in tutte le famiglie caregiver, da parte delle Istituzioni e degli enti socio- assistenziali: servirebbe fornire maggior assistenza notturna (che è praticamente inesistente), perlomeno nelle fasi di acutizzazione della malattia dell’assistito; una maggior consapevolezza del problema da parte dei medici della persona disabile, per monitorare meglio l’andamento notturno delle patologie e del dolore, con relativi interventi farmacologici; maggior attenzione all’igiene del sonno, con prescrizioni di letti/materassi e presidi che possano favorire il riposo della persona disabile, ma soprattutto smettere di chiedere ai familiari di svolgere una sorveglianza h24 che rischia seriamente di portarli alla malattia o persino alla morte, addirittura colpevolizzandoli se non riescono a svolgerla adeguatamente.
Sul versante del lavoro potrebbe essere una soluzione facilitante l’introduzione dello smart working e telelavoro, da riconoscere obbligatoriamente ai caregiver familiari, soluzione prevista da un DDL attualmente in discussione in Commissione in Senato, per arrivare (si spera celermente, dopo decenni di attesa) ad una legge per il riconoscimento e la tutela dei caregiver familiari.
Questi sono ovviamente solo spunti di riflessione, che non proponiamo certamente come soluzioni, ma il punto di partenza imprescindibile è prendere consapevolezza di questo ENORME e GRAVISSIMO problema, che danneggia la salute del caregiver, la stabilità economica e relazionale della famiglia, oltre a mettere a rischio l’assistito, perché ovviamente una caregiver esausto e quasi delirante di sonno NON può essere nelle condizioni ottimali per prestare adeguata assistenza.

Nel nostro FeliCity Lab stiamo conducendo “Come chiedere aiuto”, un laboratorio di sviluppo personale online per caregiver familiari, per trovare modalità più efficaci e correte per chiedere aiuto (perché i caregiver hanno un gran bisogno di “aiuto”, o – preferiamo dire noi – di un supporto UTILE).
Un tema ricorrente, che portano molti caregiver, è la lontananza di amici e familiari che un tempo frequentavano assiduamente, come se l’arrivo della disabilità in famiglia rappresentasse uno spartiacque: c’è un “prima” e c’è un “dopo”, ci sono EX amici, ci sono parenti che restano sullo sfondo, improvvisamente fuori dal cerchio familiare
(i disegni in foto, fatti da alcuni partecipanti al laboratorio, esprimono graficamente e nei colori proprio il senso di questa lontananza).
Le cause di questo fenomeno piuttosto ricorrente sono ovviamente molteplici, però quello che emerge in modo inequivocabile è la frattura che spesso si crea nella vita dei caregiver, anche e soprattutto a livello relazionale, una frattura che, creando un “prima” e un “dopo”, genera disorientamento, delusione e dolore.
Una delle più grandi sfide per i caregiver è proprio quella di ricomporre questa frattura, di creare nuovi significati che consentano di dare un senso a questa esperienza, senza che ci sia un “prima” e un “dopo” nella nostra vita, ma semplicemente, naturalmente, serenamente una vita: questa, la nostra.
E’ una sfida che si può vincere, non senza fatica, non senza dolore, ma è possibile.
Un tema ricorrente, che portano molti caregiver, è la lontananza di amici e familiari che un tempo frequentavano assiduamente, come se l’arrivo della disabilità in famiglia rappresentasse uno spartiacque: c’è un “prima” e c’è un “dopo”, ci sono EX amici, ci sono parenti che restano sullo sfondo, improvvisamente fuori dal cerchio familiare
(i disegni in foto, fatti da alcuni partecipanti al laboratorio, esprimono graficamente e nei colori proprio il senso di questa lontananza).
Le cause di questo fenomeno piuttosto ricorrente sono ovviamente molteplici, però quello che emerge in modo inequivocabile è la frattura che spesso si crea nella vita dei caregiver, anche e soprattutto a livello relazionale, una frattura che, creando un “prima” e un “dopo”, genera disorientamento, delusione e dolore.
Una delle più grandi sfide per i caregiver è proprio quella di ricomporre questa frattura, di creare nuovi significati che consentano di dare un senso a questa esperienza, senza che ci sia un “prima” e un “dopo” nella nostra vita, ma semplicemente, naturalmente, serenamente una vita: questa, la nostra.
E’ una sfida che si può vincere, non senza fatica, non senza dolore, ma è possibile.

Questo è un brano tratto dal mio libro "La Bambina Fiore".
Lo dedico alla madri caregiver del nostro gruppo di auto mutuo aiuto @FelicityCaregiver, poiché ne stiamo parlando ora: non siamo “Angeli”, ma donne e madri che a volte provano sentimenti complessi, e non sempre nobili, come l'invidia e la rabbia. Anche se non è facile ammetterlo - chi più, chi meno - ci siamo passate tutte, specialmente all'inizio. E come ho scritto in questo brano: “Hai ragione a voler piangere, non cercherò di consolarti perché hai ragione, è davvero una cosa che fa piangere. Però io sono qui con te”.
“Quella pensioncina aveva un suo fascino malinconico, molto diverso dai luoghi dove trascorrevo le vacanze prima della nascita di Ilaria.
Nella sala da pranzo dove consumavamo i pasti previsti dalla pensione completa, i tavoli erano assegnati con una targhetta numerata e il nome del cliente era scritto a mano su un fogliettino. Il tavolo vicino al nostro era stato attribuito stabilmente a una giovane coppia con un bambino di sette mesi. Erano persone che un tempo avrei considerato un po’ grezze. Entrambi decisamente sovrappeso, indossavano sempre una tenuta poco adatta a una sala da pranzo comune, con canotte slabbrate e spesso macchiate, pantaloncini corti arrampicati sulle cosce grosse e pelose, infradito su piedi malcurati e pieni di sabbia, al buffet si riempivano i piatti fino a farli strabordare e poi si buttavano sul cibo con una voracità che era impossibile non notare.
Una sera la mamma si mise a giocare con il bambino, il gioco del bubusettete. Lei nascondeva il volto tra le mani e poi le riapriva esclamando bubusettette. Il bambino ogni volta sgranava gli occhioni pieni di stupore e poi scoppiava in una risata esplosiva, che contagiava i genitori e anche i vicini di tavolo. Andarono avanti per diversi minuti, alla fine ridevano quasi tutti, era una scena meravigliosa.
La mia Ilaria invece, che ormai aveva quasi tre anni, se ne stava lì in silenzio sul suo passeggino, non era capace, né mai lo sarebbe stata, di fare un semplice gioco che era in grado di comprendere e di svolgere un bimbo di solo sette mesi.
Mi venne un po’ di tristezza, ormai mi stavo abituando alle condizioni di Ilaria, ma quella scena risvegliò in me tanti rimpianti per quella che avrebbe potuto essere la mia vita e che poi non era stata.
Pensavo anche a quella che io ero un tempo, a come persone di questo genere una volta mi avrebbero fatto un po’ sorridere, con quel filo di snobismo che avevo sempre avuto, invece queste persone così semplici, con i loro chili di troppo e le loro canotte macchiate, si volevano bene, erano lì insieme, erano una bella famiglia, avevano messo al mondo un bambino sano e meraviglioso, mentre io avevo messo al mondo un piccolo geranio muto ed ero stata lasciata.
Che bella lezione mi aveva dato la vita, uno schiaffo alla mia arroganza, ai miei pregiudizi, alla mia presunzione di poterla dominare, dirigere, controllare.
Sergio mi prese la mano, allungandola sul tavolo. Io distolsi lo sguardo perché sentivo che stavo per scoppiare in lacrime e non volevo tornare a piangere nei ristoranti come un tempo. Lui mi cercò gli occhi, andandoli a scovare nella mia evasività. Quando voleva dimostrarmi vicinanza faceva sempre così, non diceva nulla, ma mi prendeva la mano e la stringeva forte, poi veniva a cercarmi con gli occhi e mi sembrava che dicesse: “Hai ragione a voler piangere, non cercherò di consolarti perché hai ragione, è davvero una cosa che fa piangere. Però io sono qui con te”.
("La Bambina Fiore" di Elena Malagoli e Rossella Calabrò, edizioni Emma Book)
Lo dedico alla madri caregiver del nostro gruppo di auto mutuo aiuto @FelicityCaregiver, poiché ne stiamo parlando ora: non siamo “Angeli”, ma donne e madri che a volte provano sentimenti complessi, e non sempre nobili, come l'invidia e la rabbia. Anche se non è facile ammetterlo - chi più, chi meno - ci siamo passate tutte, specialmente all'inizio. E come ho scritto in questo brano: “Hai ragione a voler piangere, non cercherò di consolarti perché hai ragione, è davvero una cosa che fa piangere. Però io sono qui con te”.
“Quella pensioncina aveva un suo fascino malinconico, molto diverso dai luoghi dove trascorrevo le vacanze prima della nascita di Ilaria.
Nella sala da pranzo dove consumavamo i pasti previsti dalla pensione completa, i tavoli erano assegnati con una targhetta numerata e il nome del cliente era scritto a mano su un fogliettino. Il tavolo vicino al nostro era stato attribuito stabilmente a una giovane coppia con un bambino di sette mesi. Erano persone che un tempo avrei considerato un po’ grezze. Entrambi decisamente sovrappeso, indossavano sempre una tenuta poco adatta a una sala da pranzo comune, con canotte slabbrate e spesso macchiate, pantaloncini corti arrampicati sulle cosce grosse e pelose, infradito su piedi malcurati e pieni di sabbia, al buffet si riempivano i piatti fino a farli strabordare e poi si buttavano sul cibo con una voracità che era impossibile non notare.
Una sera la mamma si mise a giocare con il bambino, il gioco del bubusettete. Lei nascondeva il volto tra le mani e poi le riapriva esclamando bubusettette. Il bambino ogni volta sgranava gli occhioni pieni di stupore e poi scoppiava in una risata esplosiva, che contagiava i genitori e anche i vicini di tavolo. Andarono avanti per diversi minuti, alla fine ridevano quasi tutti, era una scena meravigliosa.
La mia Ilaria invece, che ormai aveva quasi tre anni, se ne stava lì in silenzio sul suo passeggino, non era capace, né mai lo sarebbe stata, di fare un semplice gioco che era in grado di comprendere e di svolgere un bimbo di solo sette mesi.
Mi venne un po’ di tristezza, ormai mi stavo abituando alle condizioni di Ilaria, ma quella scena risvegliò in me tanti rimpianti per quella che avrebbe potuto essere la mia vita e che poi non era stata.
Pensavo anche a quella che io ero un tempo, a come persone di questo genere una volta mi avrebbero fatto un po’ sorridere, con quel filo di snobismo che avevo sempre avuto, invece queste persone così semplici, con i loro chili di troppo e le loro canotte macchiate, si volevano bene, erano lì insieme, erano una bella famiglia, avevano messo al mondo un bambino sano e meraviglioso, mentre io avevo messo al mondo un piccolo geranio muto ed ero stata lasciata.
Che bella lezione mi aveva dato la vita, uno schiaffo alla mia arroganza, ai miei pregiudizi, alla mia presunzione di poterla dominare, dirigere, controllare.
Sergio mi prese la mano, allungandola sul tavolo. Io distolsi lo sguardo perché sentivo che stavo per scoppiare in lacrime e non volevo tornare a piangere nei ristoranti come un tempo. Lui mi cercò gli occhi, andandoli a scovare nella mia evasività. Quando voleva dimostrarmi vicinanza faceva sempre così, non diceva nulla, ma mi prendeva la mano e la stringeva forte, poi veniva a cercarmi con gli occhi e mi sembrava che dicesse: “Hai ragione a voler piangere, non cercherò di consolarti perché hai ragione, è davvero una cosa che fa piangere. Però io sono qui con te”.
("La Bambina Fiore" di Elena Malagoli e Rossella Calabrò, edizioni Emma Book)